A cura di Roberta Fenci
Note Storiche
La presenza umana lungo le sponde del lago Trasimeno è certa almeno dal Paleolitico medio, tra i 120.000 e i 36.000 anni fa circa, epoca a cui viene fatta risalire una delle più antiche sculture a tuttotondo rinvenute, una piccolissima quanto straordinaria statuina acefala in steatite meglio conosciuta come “Venere del Trasimeno”, di dimensioni molto ridotte (37,6×16,3×14), di colore marrone chiaro verdastra, perfettamente levigata e cosiddetta steatopigica, cioè con fianchi, glutei e seno rigonfi.
Il termine “Venere” è un termine generico ed improprio, attribuito a tutta la serie di statuette antropomorfe femminili di piccole dimensioni, nude e con attributi sessuali pronunciati, emerse numerose nel secolo scorso tra l’Europa occidentale e la Siberia. La tradizione storiografica del XIX secolo le ha battezzate come “Veneri” preistoriche, ma è ormai noto che in realtà non c’è nessuna relazione fra la loro simbologia e quella della mitologica dea romana.
La statuina (Venere) del Trasimeno fu recuperata all’interno di una cassa recante la dicitura “Da Castelsecco” che conteneva una collezione di reperti di industria litica appartenente all’Ing. Vincenzo Funghini di Arezzo (esponente di rilievo della vita culturale aretina della seconda metà del XIX secolo). Nel 1938 la cassa fu acquistata dal Conte Alerino Palma di Cesnola, padre del noto prof. Arturo Palma di Cesnola docente universitario ed archeologo di fama internazionale, per i suoi ritrovamenti paleolitici di Grotta Paglicci e di quelli scoperti nella Grotta del Cavallo in provincia di Lecce.
Gran parte della collezione dell’ Ing. Funghini era frutto delle indagini da lui effettuate a fine Ottocento, nei pressi di Arezzo e nei dintorni del lago Trasimeno, soprattutto nell’area situata ad ovest del lago. È su queste basi che il paleontologo che per primo esaminò l’artefatto, Luigi Cardini, colloca come “molto probabile” la provenienza della statuina nell’area del Trasimeno.
Il confronto con la statuina (Venere) di Willendorf
Vista la sua conformazione e a causa delle sue parti mancanti, la statuina si presta ad una doppia visione a seconda di come viene capovolta. All’epoca del ritrovamento, ad un primo studio della statuina ad opera del prof. Paolo Graziosi, si preferì l’interpretazione in cui la testa e il collo della statuina sembrano essere un tutt’uno in una forma allungata, fallica, interpretazione probabilmente influenzata da supposte analogie con la statuina (Venere) di Savignano. Anche recentemente, l’Archeologa M. A. Fugazzola Delfino, ha considerato più probabile tale interpretazione. In questa visione, nell’ibridazione dei caratteri maschili (forma fallica) e di quelli femminili (seno e glutei esagerati), la statuina diventa una semplice schematizzazione simbolica legata a riti di fertilità.
Questa interpretazione è stata fermamente contestata dal Paletnologo Blanc, A.C. che riscontrò in questo tipo di visione delle aberrazioni anatomiche, mai viste in questo tipo di rappresentazioni rendendo improbabile un raffronto fra la statuina del Trasimeno e quella di Savignano, se non nell’evidenza di sostanziali e imprescindibili differenze.
Blanc infatti privilegiò senza il minimo dubbio l’interpretazione della statuina nella sua visione opposta (capovolta). La sua ricostruzione grafica della statuina, nella visione in cui il collo e la testa a forma fallica sono in realtà la base (le gambe?), rende evidente stilisticamente l’assimilazione della statuina del Trasimeno alle sculture femminili gravettiane rinvenute in Europa. Infatti, la statuina non è databile con certezza e quindi soprattutto per i suoi tratti stilistici, potrebbe essere riferibile al Paleolitico Superiore e collocata in un periodo che va dal XXIII al XVII/XVI millennio a.C., cioè al Gravettiano-Epigravettiano antico.
Il confronto fatto da Blanc, della Statuina del Trasimeno con la più famosa Statuina (Venere) di Willendorf evidenzia in effetti le analogie tra le due, anche in alcuni dettagli.
Seppur rinvenute a notevole distanza l’una dall’altra, la “somiglianza” tra loro costituisce una significativa indicazione sia per la collocazione temporale della statuina umbra, sia sui rapporti culturali intercorsi durante il Paleolitico Superiore tra la penisola italiana e l’Europa centro-orientale e la inserisce nella lettura interpretativa che negli studi di Marija Gimbutas, va oltre la semplice schematizzazione sessuale/simbolica.
Il Culto della Dea in epoca preistorica
Evidenze sulla vita delle comunità protostoriche che occupavano il territorio del lago Trasimeno, confermano la presenza antropica nell’area del Trasimeno, accertata almeno dal Paleolitico Medio-Superiore e insieme a questi dati non mancano quelli riferibili alla sfera religiosa e cultuale che testimoniano di una sacralità riferita alle acque del lago, probabilmente già molto antica.
In questo senso, le caratteristiche della Statuina del Trasimeno nella forma e nell’assimilazione con le sue omologhe italiche ed europee, può essere inclusa nell’interpretazione mitologica e cosmologica del culto di un’unica grande “Dea”, la cui esistenza risulta ormai attestata sin dal Paleolitico.
Infatti, statuine rappresentanti figure femminili furono prodotte durante un lunghissimo periodo, che, cominciato con l’industria litica Aurignaziana (40.000 anni fa), fiorisce durante la cultura Gravettiana (29.000 – 21.000 anni fa) e giunge al Magdaleniano (11.000 anni fa) fin al Neolitico da cui provengono le più numerose testimonianze.
Anche le altre statuine italiche, come quelle di Savignano, Parabita, Ventimiglia (Balzi Rossi) insieme alla Statuina del Trasimeno si collocano in questo periodo di produzione a conferma che si tratta di un culto comune a tutti le popolazioni di quel periodo.
Fu Marija Gimbutas ad identificare, nelle rappresentazioni femminili del Paleolitico e del Neolitico, l’espressione di un’unica Grande Dea universale nelle sue molteplici manifestazioni:
“Le sculture in miniatura di figure femminili scolpite nell’avorio e nella pietra tenera non sono Veneri, come si tendeva a identificarle nella letteratura specialistica, né sono “feticci della fertilità” progettati per eccitare la sessualità maschile. Le loro funzioni sono di gran lunga più importanti: dare la vita e proteggerla, nonché accompagnare nella morte e nella rigenerazione. La Dea personifica l’eterno rinnovamento ciclico della vita in tutte le sue forme e manifestazioni. Un’interpretazione delle funzioni scaturisce dall’attento studio dei particolari attributi di queste sculture primitive: posture, gesti, acconciature e simboli religiosi ad esse correlate. Numerose espressioni di un principio divino femminile sopravvissuto molte migliaia di anni vengono immediatamente in evidenza nei manufatti a noi pervenuti dal Paleolitico superiore.” (M. Gimbutas, 2012).
All’interno di questo determinato orizzonte culturale e dei modelli iconografici condivisi si potrebbero delineare degli elementi di prova delle valenze simboliche della Statuina del Trasimeno. Includendo la concezione sacra ancestrale del lago e delle sue acque, viene quasi spontaneo indicare la statuina come rappresentazione della Grande Dea:
“… Dispensatrice di Vita, Reggitrice di Morte, e non meno importante di Rigeneratrice – L’unica fonte di tutta la vita che traeva le sue energie dalle sorgenti, dal sole, dalla luna e dall’umidità della terra.” (M. Gimbutas, 2008).
Dove vederla
Fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso la statuina originale era posseduta dal prof. Arturo Palma di Cesnola. Lui stesso ne fornì una copia in gesso al Dr. Ermanno Gambini, ex Direttore scientifico del Museo della pesca e del Lago Trasimeno di San Feliciano di Magione (Perugia) dove è tutt’oggi conservata.
Nel Museo delle Civiltà di Roma, al secondo piano del Palazzo delle Scienze, dal 2022 un nuovo allestimento delle collezioni preistoriche, intitolato “Preistoria? Storie dall’Antropocene” offre un nuovo percorso espositivo in cui sono esposti reperti originali raramente o mai esposti, tra cui proprio la “Venere” proveniente dal Lago Trasimeno insieme alla più famosa “Venere” di Savignano e alla “Venere” del lago di Bracciano proveniente dal sito neolitico La Marmotta.
Riferimenti Bibliografici
- AA.VV. – a cura di M. Panza e M. T. Ganzerla – Associazione Armonie Bologna 2003 – Il Mito e il Culto della Grande Dea. Transiti, Metamorfosi, Permanenze – Atti del Convegno Internazionale – Bologna – Oratorio e Museo di Santa Maria della Vita 24-25 novembre 2000;
- A. C. Blanc – Sulle Veneri del Trasimeno e di Willendorf – Quaternaria Nr.1 – 1954 – pag.187-192;
- A. M. Radmilli – Popoli e civiltà dell’Italia antica – Roma 1974.
- D. Zampetti – La venere del Trasimeno ovvero la rappresentazione del corpo nel Paleolitico superiore – Origini 1993 – vol. XVII – pp. 89-106;
- M. A. Fugazzola Delpino, E. Mangani, A. Pessina, A. Salerno, A. Tagliacozzo, V. Tinè – Donne, uomini e animali. Oggetti d’arte e di culto nella Preistoria – Catalogo della mostra – Museo Nazionale Preistorico Etnografico L. Pigorini – Roma 30 marzo-31 luglio 2001;
- M. C.. De Angelis, R. P. Guerzoni, A. Moron – Il bacino del lago Trasimeno in epoca preistorica e protostorica. Collezioni storiche e indagini recenti – GENTES anno I numero 1 – pp.16-18;
- M. Gimbutas – Il linguaggio della Dea. Introduzione XIX/ – XX/, Venexia, Roma 2008 ;
– La civiltà della dea. Vol. 2 – p.11, Stampa Alternativa, Roma 2012;